IL PRETORE
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   dibattimentale   nel
 procedimento  penale  n.  5161/1993  r.g., a carico di Muzi Giovanni,
 Muzi Paolo Castore e Muzi Costantino imputati i primi due  del  reato
 di  cui  all'art.  3, terzo comma, e 9-octies, terzo comma, del d.-l.
 397/88 conv. in legge 475/1988 e del reato di cui all'art. 25,  primo
 comma  in  relazione  all'art.  6,  lett.  del  d.P.R. n. 915/1982 in
 riferimento a rifiuti speciali  denominati  "sansa",  osserva  quanto
 segue.
    La  difesa  ha preliminarmente richiesto immediata declaratoria di
 non doversi procedere per il reato citato assumendo che il fatto  non
 e' piu' previsto dalla legge come reato ai sensi del decreto-legge n.
 619  del  7  novembre  1994,  art.  12  in  quanto i reati per cui e'
 processo sono considerati residui riutilizzabili dal d.m. 5 settembre
 1994.
    Il p.m. di udienza, avv. Stangherlin Giovanni,  si  e'  opposto  a
 detta  istanza  ed  ha  richiesto  a questo pretore di dichiarare non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  decreto-legge  citato, nella sua stesura integrale, intesa nella
 sinergia inscindibile di tutti gli articoli interconnessi, in  quanto
 in contrasto con gli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della Costituzione e
 con le direttive CEE in materia di rifiuti.
    Asseriva il p.m.: "Rilevato che nell'odierno processo la difesa ha
 chiesto  l'applicazione  della  normativa  di  cui al d.-l. 619 del 7
 novembre 1994 in relazione all'imputazione contestata e che  pertanto
 tale  normativa deve ritenersi potenzialmente applicabile, seppur non
 citata, nel capo  in  contestazione,  ritiene  che  il  decreto-legge
 stesso  contenga  precetti  in  contrasto  con  la Costituzione della
 Repubblica. In particolare  ritiene  il  p.m.  che  il  decreto-legge
 citato nella sua integrita' normativa, in quanto contenente norme tra
 loro  inscindibilmente connesse e comunque in particolare il precetto
 di cui agli artt. 2 e 12 e degli articoli  in  essi  richiamati,  del
 decreto-legge  piu'  volte  citato,  come  tali applicabili al d.P.R.
 915/1982, contrasti con gli artt.  3,  9,  10,  25,  32  e  41  della
 Costituzione.  Cio'  perche'  opera preliminarmente una disparita' di
 trattamento inconciliabile con i principi generali dettati  dall'art.
 3  della  Cost.  Infatti premesso che i materiali derivanti dal ciclo
 produttivo dell'azienda sono  stati  fino  ad  oggi  considerati  per
 costante  indirizzo  giurisprudenziale  come  rifiuti  dalla Corte di
 Cassazione, si rileva che oggi invece se  gli  stessi  sono  indicati
 come residui e risultano inseriti nel listino mercuriale della camera
 di commercio locale, consegue che questi materiali sfuggono al regime
 dei  rifiuti  e  sono  di  fatto  depenalizzati;  mentre  coloro che,
 producendo medesimi  residui  in  localita'  differenti,  oggetto  di
 diversa  determinazione  da  parte  della camera di commercio locale,
 potrebbero vedere in base a tale diversa  valutazione  soggiacere  la
 propria posizione a diversa sanzione anche penale. Ritiene il p.m. il
 contrasto  tra  il decreto-legge citato e l'art. 9 della Costituzione
 in quanto antitetico con i principi generali  concernenti  la  tutela
 del  paesaggio e del patrimonio ambientale del Paese considerato alla
 stregua della piu' recente giurisprudenza della Corte di cassazione e
 della Corte costituzionale; ancora rispetto all'art. 10 in quanto  in
 contrasto   con  i  principi  dettati  dalle  normative  e  direttive
 comunitarie in materia. Infine in contrasto con i rimanenti  articoli
 sopra  citati  per la non osservanza dei precetti ivi contenuti. Cio'
 premesso ritiene il p.m. rilevante e non manifestamente infondata  la
 questione   di  costituzionalita'  sollevata  nel  presente  giudizio
 chiedendo altresi' che la questione venga portata a conoscenza  della
 Corte  di  giustizia europea con richiesta di sentenza interpretativa
 nel merito della materia in relazione alle direttive europee".
    Rileva il Pretore che la questione sollevata dal p.m. merita esame
 in quanto  direttamente  pertinente  e  pregiudiziale  rispetto  alla
 materia  processuale  in  questione.  Al  riguardo osserva il pretore
 quanto segue.
    1.  -  La  disciplina  giuridica  del  settore  ha  fino  ad  oggi
 considerato  come  rifiuti  tutti  i  residui  derivanti  da processi
 produttivi, anche  se  riutilizzabili,  escludendo,  allo  stato,  la
 possibilita'  di  evoluzione  diretta  dei  rifiuti  in materie prime
 secondarie.
    Costituisce cristallizzazione  di  questo  principio  la  basilare
 sentenza  delle sezioni unite della Cassazione n. 5 in data 29 maggio
 1992, ud. 27 marzo 1992 imp. Viezzoli:
    "In tema di smaltimento di rifiuti industriali,  con  il  d.-l.  9
 settembre 1988, n. 397, conv. in legge 9 novembre 1988, n. 475, si e'
 inteso  riservare  un  regime  giuridico  diverso  da quello cui sono
 sottoposti i  rifiuti  in  generali  residui  derivanti  da  processi
 produttivi,  suscettibili  di  riutilizzazione,  qualificabili,  come
 materie prime secondarie ai sensi  dell'art.  2  del  detto  decreto-
 legge.  Peraltro nel menzionato art. 2 il legislatore ha dettato solo
 una normativa-quadro, di tal che,  perche'  a  siffatti  residui  sia
 applicabile  la  nuova  disciplina in deroga, e' necessario che siano
 prima emanate le norme di cui ai commi quarto e  sesto  del  predetto
 articolo.  Ne  consegue  che  sino  a tale momento alle materie prime
 secondarie continua ad applicarsi la disciplina generale sui  rifiuti
 di  cui  al  d.P.R.  10  settembre  1982  n.  915. (Nell'affermare il
 principio di cui in massima la Cassazione ha anche evidenziato che le
 materie prime secondarie, proprio perche' si  tratta  pur  sempre  di
 sostanze  di  cui il donatore si disfa o ha l'intenzione di disfarsi,
 non rappresentano una categoria autonoma ed alternativa  rispetto  ai
 rifiuti  vari e propri, ma ne costituiscono solo una specie, sia pure
 particolare,  attesa  la  loro  provenienza  e  la loro attitudine ad
 essere utilizzate come materie prime in altri processi produttivi)".
    In tale contesto la giurisprudenza ha fino ad oggi  affermato  che
 nella generale categoria dei rifiuti rientrano non solo le sostanze e
 gli  oggetti che si possono considerare tali sin dall'origine (ad es.
 immondizie), ma anche quelle sostanze ed oggetti non  piu'  idonei  a
 soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se
 non   ancora  privi  di  valore  economico,  sicche'  "abbandonato  o
 destinato all'abbandono" va inteso non nel senso civilistico  di  res
 nullius o di res derelicta, disponibile alla apprensione di chiunque,
 sebbene  di  sostanza  od oggetto ormai inservibile alla sua funzione
 originaria, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui  che  lo
 detiene,  anche mediante un negozio giuridico (cfr. Cass. sez. III 26
 febbraio 1991, n. 2607, imp. Lunardi).
    Consegue  che,  nella  dottrina  e  giurisprudenza  fino  ad  oggi
 tracciata,  se  quello  sopra delineato e' il concetto di rifiuto, e'
 evidente allora che "le materie prime secondarie, proprio perche'  si
 tratta  pur  sempre  di  sostanze  di  cui il detentore si disfa o ha
 l'intenzione di  disfarsi,  lungi  dal  rappresentare  una  categoria
 autonoma  ed  alternativa dei rifiuti veri e propri, ne costituiscono
 solo una specie, sia pure particolare, attesa la loro  provenienza  e
 la  loro  attitudine ad essere utilizzate come materie prime in altri
 processi  produttivi"  (cfr.  motivazione  citata  sentenza   sezioni
 unite).
    2.   -  La  giurisprudenza  italiana,  e  comunitaria,  ha  sempre
 rifiutato di accogliere la tesi che un  rifiuto,  se  riutilizzabile,
 non  e'  piu'  un  rifiuto,  con  la conseguente deregolamentazione e
 sottrazione alla disciplina  specifica  in  materia  (in  Italia,  il
 d.P.R. 915/1982).
    Va  rilevato  che  la  sentenza  "interpretativa"  n.  359  del 14
 febbraio 1988 della Corte europea di  giustizia  precisava  che  "una
 normativa  nazionale  la  quale  adotti  una  definizione  di rifiuto
 escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di  riutilizzazione
 economica  non  e'  compatibile  con  le  direttive  CEE"  (riportata
 integralmente in Amendola - "inquinamento ed industria" - Roma 1992).
    3. - Le direttive CEE n. 156 del 18 marzo 1991 e  n.  689  del  12
 dicembre 1991 ed il regolamento n. 259 del 1 febbraio 1993, ancora da
 recepire in Italia, hanno impostato un criterio a livello europeo per
 disciplinare  alla  radice  il  concetto,  creando il principio delle
 materie prime secondarie con connesse procedure semplificate per quei
 residui destinati al riutilizzo o alla produzione di energia.
    Va  sottolineato,  al  riguardo,  che  in  particolare  la   nuova
 direttiva-quadro91/156  (per  la quale e' scaduto il 1 aprile 1993 il
 termine ultimo per il recepimento in Italia) delinea da  un  lato  in
 modo  particolareggiato  l'ambito dei rifiuti recuperabili, definendo
 sia le operazioni di recupero sia  i  rifiuti  che  ad  esse  possono
 essere   sottoposti   (senza   equivoci   di   carattere   soggettivo
 unilaterale), e dall'altro autorizza adempimenti semplificati per  le
 operazioni  che  li  riguardano (cfr. Amendola - "I rifiuti normativa
 italiana e comunitaria" - Milano 1992).
    4. - In detto contesto  si  inserisce  la  decretazione  d'urgenza
 operata  nel  nostro Paese in materia, il cui ultimo provvedimento e'
 costituito dal decreto-legge n. 619 del 7 novembre 1994.
    Ad avviso dello scrivente pretore il citato decreto-legge, preved-
 endo  principi  che  tendono a sottrarsi alla disciplina fino ad oggi
 delineata  dalla  dottrina  e  dalla   giurisprudenza   nazionale   e
 comunitaria come sopra esposta, si pone in contrasto con la direttiva
 CEE in materia.
    5.  - In primo luogo si rileva che sussiste netto contrasto con le
 normative di settore esistenti e le sentenze della Cassazione,  della
 Corte  costituzionale  e della Corte europea di giustizia laddove con
 un semplice espediente terminologico  si  sottraggono  in  blocco  ed
 all'improvviso  alla  disciplina  del  d.P.R. n. 915/1982 (che regola
 anche i rifiuti da recuperare  e  riutilizzare)  ed  alla  disciplina
 comunitaria  (che  li  chiama  "rifiuti destinati al recupero") tutti
 quei rifiuti che vengono ribattezzati "residui" e  non  si  chiarisce
 mai espressamente se essi rientrano nella categoria dei "rifiuti".
    Va osservato che la categoria dei "residui" (definiti dall'art. 3,
 lett.  g)  "sostanze residuali suscettibili di essere utilizzate come
 materia prima e fonti di energia") rientra senza ombra di dubbio  tra
 quelli  che  il  d.P.R. 915/1982 e la normativa comunitaria 1991-1993
 chiamano "rifiuti da recuperare".
    Del  resto,  ad  esempio,  l'art.  7  del  decreto  sui  movimenti
 transfrontalieriammette  che i "residui" sono disciplinati, quanto ad
 import-export, dal  regolamento  CEE  n.  259  il  quale  riguarda  i
 "rifiuti";  ed  ancora  l'art.  1,  quarto comma, premette che queste
 disposizioni sui residui si applicano in attesa dell'attuazione delle
 direttive  CEE  sui  rifiuti  e  richiama  espressamente  proprio  la
 "definizione  e  la  classificazione  dei  rifiuti  effettuate  dalle
 direttive CEE".
    Questi punti confermano ulteriormente l'identita' di  fatto  e  di
 principio tra "residui" e "rifiuti".
    6.  - Il decreto-legge in esame sottrae in primo luogo a qualsiasi
 procedura ed obbligo tutti quei  "materiali"  che  siano  quotati  in
 borse  merci o in listini e mercuriali ufficiali costituiti presso le
 camere di commercio  dei  capoluoghi  di  regione,  nonche'  tutti  i
 semilavorati  non  costituenti  residui di produzione e di consumo; e
 con cio' si supera anche la categoria dei "residui" creando una  zona
 franca completamente deregolamentata.
    Quindi  per sottrarre quello che fino ad oggi e' stato considerato
 un "rifiuto" addirittura dalla gia' blanda categoria dei "residui" e'
 sufficiente un attestato di quotazione di una camera di  commercio  e
 una  "ricognizione positiva" del Ministero dell'ambiente; ed in detto
 contesto, secondo le evoluzioni del caso, possono in linea teorica  e
 potenziale rientrare gran parte dei rifiuti industriali.
    Si tende cosi' a creare di fatto una sottrazione alla fino ad oggi
 attuata   disciplina  penale  di  detti  materiali  con  la  semplice
 annotazione  nel  corpo  di  un  listino  ufficiale   amministrativo,
 peraltro potenzialmente diverso da regione a regione.
    L'elenco  dei  materiali  predisposto  dal Ministero dell'ambiente
 contiene molti di quelli che la direttiva CEE qualifica come "rifiuti
 recuperabili", unitamente a rifiuti  storicamente  oggetto  di  forte
 contenzioso  penale  a  carico delle aziende produttrici nel contesto
 della disciplina sui rifiuti ex  d.P.R.  n.  915/1982  (si  pensi,  a
 titolo di esempio, alle ceneri ed al caprolattame).
    7. - Il decreto-legge in esame in secondo luogo crea, in attesa di
 future  evoluzioni  regolamentative,  una  disciplina  transitoria ed
 immediata che di fatto sottrae al  regime  di  gestione  dei  rifiuti
 (inclusi  obblighi e doveri) tutti i residui, anche tossici e nocivi,
 definiti come materie prime secondarie dall'allegato 1  del  d.m.  26
 gennaio  1990, incurante del fatto che la Corte costituzionale con la
 sentenza n. 512 del 15 ottobre 1990 ha in gran  parte  cancellato  il
 testo  del decreto ministeriale stesso argomentando, tra l'altro, che
 l'individuazione di quelle materie prime secondarie non poteva essere
 compiuta "con le garanzie di certezza richieste".
    8. - Va ancora rilevato che viene  ancora  allargato  l'ambito  di
 questi   residui   "identificati"  e  delle  relative  operazioni  di
 "recupero" con il d.m. 5  settembre  1994  perche'  l'allegato  3  di
 questo  decreto  e'  vastissimo  e,  di  fatto,  estende l'ambito dei
 residui a questi tutti  i  rifiuti  industriali.  Le  caratteristiche
 previste  rischiano di restare lettera morta a livello di fatto se si
 considera la carenza  strutturale,  numerica  e  professionale  degli
 organi  di  controllo  tecnici.  E'  facile  prevedere  che  in detto
 contesto, nel quale  ancora  peraltro  non  e'  stata  resa  operante
 l'Agenzia  per l'ambiente, gran parte dei rifiuti industriali saranno
 trasformati in "materiali" deregolamentati in toto o, al massimo,  in
 "residui". Con azzeramento di tutta la disciplina sui rifiuti fino ad
 oggi  seguita  ex  d.P.R.  n.  915/1982 ed in palese contrasto con le
 direttive specifiche della CEE in materia.
    9. - Si deve inoltre  registrare  una  modifica  ad  un  principio
 portante del d.P.R. n. 915/1982 eliminando, a determinate condizioni,
 l'obbligo   di   autorizzazione  e  di  iscrizione  all'albo  per  lo
 "stoccaggio   provvisorio"   dei    rifiuti    tossici    e    nocivi
 nell'"insediamento  di  produzione  o trattamento". E che trattasi di
 principio-cardine, uno degli assi portanti del sistema di  disciplina
 sui  rifiuti  fino  ad  oggi  impostato  dal  d.P.R.  n. 915/1982, e'
 confermato dal fatto che la Corte costituzionale (2 novembre 1992  n.
 437) aveva bocciato tentativo analogo perche', trattandosi di rifiuti
 pericolosi,  si elimina questo obbligo e vengono meno quei "requisiti
 specifici affinche' sia garantita l'eliminazione di ogni pericolo per
 la salute ed il degrado ambientale".
    10. - Il sistema sanzionatorio penale e' del tutto svuotato  nella
 sua  portata di fondo perche' le sanzioni penali introdotte dall'art.
 12 del decreto, in non chiaro parallelo con il  d.P.R.  n.  915/1982,
 partono  dal  presupposto di comun denominatore che i rifiuti-residui
 sono scarsamente pericolosi per la salute pubblica e per l'ambiente e
 dunque  traccia  norme  ben  piu'  benevole  in  senso  deterrente  e
 repressivo.
    Va  notato,  peraltro,  che trattasi delle stesse sostanze fino ad
 oggi soggette al severo sistema sanzionatorio penale  del  d.P.R.  n.
 915/1982  e  che  hanno  perso  pericolosita'  soltanto grazie ad una
 modifica terminologica di definizione.
    Uno dei punti cardine  e'  costituito  dal  fatto  che  molti  dei
 residui  elencati  nell'allegato 3, per i quali non e' previsto alcun
 tipo di trattamento ne' e' prevista con precisione la destinazione  a
 cui  essi  possono  essere  indirizzati,  vengono  considerati sic et
 simpliciter residui  non  soggetti  al  d.P.R.  n.  915/1982  perche'
 "destinabili"  ad  un  "possibile"  riutilizzo  che  pero'  non viene
 precisato.
    Va  ancora  rilevato  che  molti  dei  rifiuti  vengono  ad essere
 classificati come residui prevedendo per la  loro  utilizzazione  dei
 processi  che si possono ricondurre tutti alla combustione, cosicche'
 nell'ambito di tali processi vengono ad eliminarsi tutte le  sostanze
 organiche  in  esse  contenute  appunto mediante combustione o, se si
 applicasse la normativa sui rifiuti,  mediante  incenerimento;  tutto
 cio'  determina che il processo di incenerimento a cui questi residui
 sono  sottoposti  viene  pero'  sottratto  alla  disciplina  ed  alla
 normativa  tecnica  precisa  che riguarda l'incenerimento che sarebbe
 invece applicabile se tali residui fossero  considerati  rifiuti;  in
 pratica   la   nozione   di  riciclo  viene  di  fatto  a  mascherare
 l'incenerimento  delle  sostanze  inquinanti  presenti  nel   rifiuto
 iniziale.
    Molti  dei  rifiuti, inoltre, vengono ad essere denominati residui
 non perche' riutilizzabili in reali cicli di produzione come  materie
 prime  o  come  energia, ma ammettendo semplicemente che essi possano
 essere  utilizzati  per  riempire  depressioni  del  terreno  o   per
 realizzare   rilevati  e  quindi  di  fatto  possono  essere  attuate
 attivita' che se soggette  alla  normativa  prevista  dal  d.P.R.  n.
 915/1982  sarebbero  da  considerare  discariche  in depressione o in
 rilevato.
    Anche in  questo  caso,  come  nel  precedente  in  cui  veniva  a
 determinarsi una deregulation dell'incenerimento, si attua una dereg-
 ulation   della   discarica   che   viene   ad   essere   denominata,
 paradossalmente, ripristino ambientale.
    Altro  elemento  da  considerare  e'  che   in   molti   casi   le
 caratteristiche   sia   dei   prodotti  di  partenza  che  di  quelli
 riutilizzabili, nel caso questi differiscano dai primi, non  sono  in
 alcun  modo  precisate  e  quindi  il  loro  utilizzo resta del tutto
 indefinito  perche'  unico  elemento  di  riferimento  e'  la   frase
 ricorrente   "nelle   forme   usualmente  commercializzate"  che,  in
 considerazione dei notevoli interessi economici che vengono coinvolti
 nelle attivita' di smaltimento rifiuti, e' del tutto irrilevante.
    Sempre  nell'ambito  della   deregulation   delle   attivita'   di
 smaltimento,  oltre  quanto  gia'  indicato per gli inceneritori e le
 discariche, vengono ad essere  anche  sottratte  alla  normativa  dei
 rifiuti anche le attivita' di trattamento finalizzate non al recupero
 ma  alla  semplice  inertizzazione  del  rifiuto stesso senza che per
 questo successivamente sia previsto un qualsiasi riutilizzo.
    11. - Il decreto, sempre a  livello  sanzionatorio,  introduce  un
 pericoloso   ed   opinabile   elemento   di   valutazione  soggettiva
 unilaterale laddove prevede nel comma 6 ultima parte dell'art. 12 che
 le sanzioni del d.P.R. n. 915/1982 si applicano  "qualora  i  residui
 non siano destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo".
    E  si  riapre  cosi'  un  contenzioso interpretativo antico che la
 dottrina e la giurisprudenza avevano cancellato  prevedendo  il  gia'
 sopra  esposto concetto dell'impossibilita' del passaggio diretto tra
 rifiuti e materie prime secondarie e relegando nel concetto  comunque
 di rifiuti anche i materiali suscettibili di riutilizzo.
    Le   citate   direttive  CEE  dettano  invece  norme  oggettive  e
 risolutive in questo campo.
    Il concetto di destinazione "in modo  effettivo  ed  oggettivo  al
 riutilizzo" ricollega di fatto primaria importanza alle dichiarazioni
 unilaterali  e  soggettive  dell'imprenditore,  posto  che  spettera'
 all'accusa provare il contrario e cioe' che non vi e' stato ne' sara'
 possibile  potenzialmente  il  citato riutilizzo. L'opinabilita' e la
 infinita possibilita' di interpretazioni diversificate caso per caso,
 materiale  per  materiale,  creano  di  fatto  una   prospettiva   di
 contenzioso infinito dai contorni e dagli estremi privi di ogni punto
 di riferimento di certezza e limite oggettivo.
    12.  -  Si  rileva  ancora  che  il decreto "sana" qualsiasi reato
 commesso in tema di "residui" in passato utilizzando in bonam  partem
 anche  il  decreto  ministeriale  del  1990,  annullato  dalla  Corte
 costituzionale,  e  le  norme  regionali  di  favore;  cosi'  creando
 comunque  una  moratoria penale in un settore di gravissima incidenza
 sul campo della salute pubblica e della tutela dell'ambiente.
    13. - Si rileva inoltre che la modifica in esame,  sulla  base  di
 quanto  sopra esposto, si pone in evidente contrasto con il principio
 "chi inquina paga", oggi chiaramente presupposta da diverse decisioni
 della Corte di cassazione (tra le altre, Cass.  pen.  sez.  terza,  2
 febbraio  1994  n.  2525  e  Cass.  pen. sez. terza, 6 aprile 1993 n.
 3148). La norma  denunciata  infatti  favorisce  apertamente  chi  ha
 violato   la  legge  e  penalizza,  invece,  anche  sul  piano  della
 concorrenza tra imprese, proprio  le  aziende  che  hanno  affrontato
 rilevanti  investimenti  per  adeguare i propri impianti e le proprie
 procedure di stoccaggio, deposito  e  smaltimento  alle  esigenze  di
 tutela  ambientale;  e  cio'  appalesa, ad avviso dello scrivente, un
 contrasto con l'art. 41 della Costituzione.
    14. - In  detto  svuotamento  sanzionatorio  di  uno  dei  sistemi
 normativi piu' importanti in materia di tutela ambientale, cosi' come
 tracciato  nei punti precedenti, si profila ad avviso dello scrivente
 pretore una violazione del disposto dell'art. 9, secondo comma, della
 Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu'
 recenti  pronunce  della  Corte   di   cassazione   e   della   Corte
 costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da
 cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo
 anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici.
    L'incertezza  del  diritto  derivante  dalla  sinergia del sistema
 creato dal decreto in esame favorisce potenzialmente  la  dispersione
 di  rifiuti, anche pericolosi, nell'ambiente naturale con conseguente
 grave nocumento per l'integrita' dell'ambiente.
    15. - Per gli stessi motivi esposti in relazione all'art. 9  della
 Costituzione,  si ritiene che la norma in esame si ponga in contrasto
 anche con l'art. 32 della Carta costituzionale. Infatti nel  concetto
 di  tutela  della  salute come principio costituzionalmente garantito
 deve, per forza di cose, ricomprendersi il piu' vasto concetto  della
 salute  pubblica nel senso della salubrita' dell'ambiente naturale ed
 urbano ove ciascun cittadino vive.  Il  diritto  alla  salute  inteso
 anche  come diritto all'ambiente salubre e' stato ormai ripetutamente
 accertato in giurisprudenza (si veda per  tutte  la  famosa  sentenza
 delle  sezioni  unite  n.  517  del  6 ottobre 1979, nonche' la Corte
 costituzionale in data 30 dicembre 1987 n. 641 ed in  data  16  marzo
 1990  n.  127).  E'  fuor  dubbio che la diminuita, ed anzi per certi
 versi  di  fatto  del  tutto  caducata,  possibilita'  di  intervento
 deterrente/punitivo   in   sede   di   illeciti   da  rifiuti,  anche
 potenzialmente pericolosi, crea  i  presupposti  per  una  evoluzione
 incontrollata  del  fenomeno,  incoraggiata  dall'abbassamento  della
 guardia in sede di controlli di p.g.  e  possibilita'  di  intervento
 processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per
 la  salute  e  salubrita'  pubblica  in  un  ambiente che resta cosi'
 maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
    16. - Si deve quindi argomentare che, con la chiave di  volta  del
 ricorso  alla differenziazione terminologica "residui" e "materiali",
 il decreto-legge in esame opera una deregolamentazione  sulle  stesse
 identiche  materie  che  la normativa europea qualifica come "rifiuti
 destinati al recupero" e dunque si  pone,  a  livello  di  fatto,  in
 contrasto  con  le  direttive  CEE sopra citate prevedendo rispetto a
 detti testi normativi un trattamento ben piu' generoso  e  per  certi
 versi del tutto deregolamentato.
    Il  contrasto  si sviluppera' in tutta la sua portata allorquando,
 entro il marzo 1995 (vedi legge comunitaria n. 146  del  22  febbraio
 1994),  il  Governo dovra' dare attuazione alle due direttive CEE del
 1991 "uniformando la disciplina nazionale alle  definizioni  ed  alle
 classificazioni  dei  rifiuti  individuati  come tali dalla normativa
 comunitaria" e con particolare  attenzione  proprio  al  settore  dei
 rifiuti recuperabili (art. 38, primo comma).
    17.   -   Premesso  quanto  sopra,  questo  pretore  dichiara  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 del  decreto-legge  n.  619  del  7  novembre  1994 nella sua stesura
 integrale, intesa nella sinergia inscindibile di tutti  gli  articoli
 interconnessi,  in  relazione  agli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 41 della
 Costituzione.
    In relazione agli artt. 3 e 25 richiama  le  argomentazioni  sopra
 esposte  con particolare riferimento al fatto che il decreto in esame
 ha attribuito  di  fatto  alle  camere  di  commercio  il  potere  di
 sottrarre  alla disciplina dettata per i rifiuti i materiali inseriti
 nei listini ufficiali, con la conseguenza  di  sottrarre  gli  stessi
 alla   regolamentazione   prevista   dallo   stesso   decreto  o,  in
 alternativa, al trattamento sanzionatorio del d.P.R. n. 915/1982, con
 cio' creando di fatto un contrasto con i principi  costituzionali  di
 parita'  di  trattamento  e  riserva  di legge penale atteso che, tra
 l'altro, dall'inclusione nei listini ufficiali operata  dalla  camera
 di   commercio   in  una  regione  e  non  in  un'altra  dipenderebbe
 l'operativita' o meno degli obbIighi sanciti nel decreto, con le rel-
 ative sanzioni, e specularmente di quelli  stabiliti  nel  d.P.R.  n.
 915/1982,  con  la  conseguenza  che  uno  stesso  materiale potrebbe
 ricevere un diverso trattamento a seconda  del  luogo  ove  la  legge
 viene applicata.
    Quanto  alla  violazione  della riserva di legge, il meccanismo in
 questione rende  possibile,  diversamente  configurando  un  elemento
 della  fattispecie penale, la rilevanza penale di un medesimo fatto (
 sub d.-l. n. 619/1994 e sub d.P.R. n.  915/1982)  in  relazione  alla
 diversa e non definitiva classificazione dei materiali da parte delle
 locali camere di commercio.
    Si  rileva  peraltro  che  non  sana  detto  problema  il  decreto
 ministeriale  5  settembre   1994   perche'   trattasi   di   decreto
 ministeriale   modificabile  in  ogni  momento  e  quindi  dalle  sue
 modifiche, in sinergia con l'attivita'  delle  camere  di  commercio,
 dipende  l'applicazione  della legge penale con totale incertezza del
 diritto in sede relativa.
    In  relazione  all'art.  10 della Costituzione si richiama in modo
 integrale quanto sopra esposto in riferimento al contrasto  di  fondo
 generale tra il decreto-legge in esame e la normativa CEE in materia,
 fatto   che   determina   in   via   diretta  una  possibile  mancata
 conformazione dell'ordinamento  giuridico  italiano  alle  norme  del
 diritto internazionale riconosciute.
    In  ordine  agli  altri  articoli  della  Costituzione si richiama
 quanto espresso nei punti precedenti.
    Su detti temi si sottopone la questione alla Corte  costituzionale
 affinche'  stabilisca  se  il  dettato del decreto-legge n. 619 del 7
 novembre 1994 nella sua  stesura  integrale,  intesa  nella  sinergia
 inscindibile  di  tutti  gli  articoli interconnessi, con particolare
 riferimento agli artt. 2 e 12 ed agli  articoli  ivi  richiamati,  si
 ponga  in  contrasto  con  gli  artt.  3,  9,  10,  25, 32 e 41 della
 Costituzione.
    Da quanto sopra esposto, emerge che in  applicazione  della  norma
 oggetto  del  giudizio di costituzionalita' alla Corte costituzionale
 dovrebbe procedersi a verifica in ordine al capo di  imputazione  per
 appurare  se la richiesta della difesa debba essere accolta ritenendo
 legittima la classificazione dei materiali in  questione  cosi'  come
 proposta  dalla  difesa stessa in relazione al decreto-legge in esame
 (con conseguente proscioglimento degli imputati in via preliminare) o
 se, invece, debba procedersi a  giudizio  ordinario  sulla  base  dei
 principi  antitetici  sopra  tracciati e secondo i canoni di certezza
 del diritto fino ad oggi seguiti in materia.
    Dalle considerazioni esposte si desume che  il  presente  giudizio
 non  puo'  essere  definito,  allo  stato  e  vigente  i principi del
 decreto-legge n.  619/1994  in  esame,  in  modo  indipendente  dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.